Progetto di Ricerca sulla Canapa Sativa nel Comune di Fiumicino
Se siete interessati al Progetto di ricerca compilate la scheda
SCHEDA INTERESSE PROGETTO CANAPA SATIVA
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Venerdì 9 giugno presentazione del progetto di ricerca sulla Canapa Sativa la pianta dai mille usi
Riteniamo che la Canapa Sativa o Canapa industriale, in virtù dei possibili e differenti utilizzi, merita di essere di nuovo riconosciuta come una delle risorse naturali da valorizzare.
L’agricoltura sostenibile, la capacità di un territorio di trasformare localmente i prodotti, può rappresentare un punto di forza per il rilancio a largo raggio di tutta l’economia locale. In questa fase è importante informare, suscitare interesse e far conoscere le esperienze comunque acquisite in questi anni di sperimentazione in Italia.
Le recenti leggi approvate sia dal Parlamento Italiano (L.Regionale 28.02.2017) che a livello Regionale (L.Regionale 28.02.2017) rendono più chiaro il quadro normativo e ci aiutano a dare stimolo al reinserimento di questa coltivazione.
Il progetto, non sarà una sperimentazione sulla coltivazione della Canapa Sativa, ma una ricerca che prevede una mappatura del territorio in funzione del potenziale utilizzo dei prodotti della trasformazione della canapa sativa che sarà affiancato da uno studio di fattibilita’. Il progetto di ricerca e diviso in tre fasi:
FASE A: Ricerca documentale. 1)Ricognizione della dimensione del settore agricolo in funzione dell’effettivo utilizzo del terreno (SAU/SAT superficie agricola utilizzata/superficie agricola totale) nell’ambito del territorio del Comune di Fiumicino. La ricognizione si baserà sui dati ufficiali rilevabili prioritariamente dalle seguenti fonti: CCIA Roma (N° Aziende Agricole iscritte localizzate nel Comune di Fiumicino); ISTAT (dati censimento); Regione Lazio/ARSIAL (dati e analisi). Altre fonti: Istituti di ricerca e statistica (Tagliacarne, altri); Banche Dati Associazioni di categoria; Banca Dati Comune Fiumicino (Ass. attività produttive, altri). 2) Simulazione bozza piano fattibilità/Business Plan
FASE B: Presentazione pubblica progetto “Canapa Sativa effetti derivanti dalla reintroduzione della coltivazione nel territorio del Comune di Fiumicino” 9 giugno ore 17.30 presso la casa del Buttero n.3 Maccarese Fiumcino
FASE C: Ricerca empirica nel territorio comunale. 1) Prelievo campioni terreno 2) Analisi chimico/fisiche/biologiche 3) Elaborazione dati rilevati 4) Mappature delle aree agricole in base alla composizione fisica (tessitura) dei terreni e percentuale sostanza organica 5) Report conclusivo 6) Organizzazione Seminario pubblico: esposizione risultati ricerca; catering prodotti alimentari a base di Canapa Sativa 4) Seminario di presentazione dei dati della ricerca
http://www.comune.fiumicino.rm.gov.it/index.php/it/notizie/comunicati-stampa/item/379-fiumicino-al-via-progetto-per-coltivazione-canapa-sativa
http://www.agi.it/regioni/lazio/2017/06/01/news/agricoltura_fiumicino_al_via_progetto_coltivazione_canapa_sativa-1834348/
Venerdì 9 Giugno è stato presentato a Maccarese nel Comune di Fiumicino il progetto promosso dall’Assessorato alla Attività Produttive e dall’Associazione teRRRe per uno studio sulla reintroduzione della coltivazione della Canapa Sativa nel territorio del Comune.
C.S. Canapa-Sativa a Fiumicino-un’unica-pianta-un-mare-possibilità Multiuso, versatile e sostenibile: queste le parole d’ordine. di Federica Cenci Il Faro on-line – 12 giugno 2017 – 11:27
Il Faro on line – Fiumicino ha due anime. Da sempre. Quella del mare, legata alla pesca, alla navigazione, alla cantieristica. Quella della terra, legata ai campi, all’agricoltura e alle coltivazioni. Due mondi lontani, che convivono sullo stesso territorio. Una vicinanza casuale? Forse molto di più. Un connubio che è stato e che potrebbe tornare ad essere una vera e propria occasione di rilancio per l’economia locale di entrambi i settori grazie al progetto di reintroduzione della Canapa Sativa. Continua a leggere
Alberi in Comune per il benessere comune
«Un solo albero può produrre ossigeno sufficiente per dieci persone assorbendo dai sette ai dodici chili di emissioni di CO2 all’anno, oltre che contribuire a ridurre l’inquinamento acustico».ytali online, 18 agosto 2016 (c.m.c.)
Quanti comuni rispettano la legge, in vigore da tre anni, che impone di piantare un albero per ogni bambino nato o adottato nello stesso comune? L’interrogativo si pone per una ragione molto semplice e insieme allarmante: l’Italia registra una perdita di suolo alla velocità di circa otto metri quadrati al secondo. Un’involuzione inquietante per l’ecosistema che si impoverisce di alberi e piante, fondamentali per il sostegno della vita umana e animale.
Un solo albero è in grado di produrre ossigeno sufficiente per più persone, e di assorbire enormi quantità di CO2. Secondo l’Istituto superiore perla protezione e la ricerca ambientale (Ispra) negli ultimi anni i dati in perdite sono aumentati in modo catastrofico, con un picco negli Anni ’90 quando è stata sfiorata una perdita di suolo di quasi dieci metri quadrati al secondo.
Il rimedio c’è: sta nella legge n. 10 del 14 gennaio 2013, entrata in vigore un mese dopo, che impone appunto ai comuni sopra i 15mila abitanti di piantare un albero per ogni bambino nato. Un solo albero può produrre ossigeno sufficiente per dieci persone assorbendo dai sette ai dodici chili di emissioni di CO2 all’anno, oltre che contribuire a ridurre l’inquinamento acustico. In realtà la norma è tuttora ignorata dalla gran parte dei comuni. E dire che la legge è chiara e in qualche misura severa: se i comuni non ne rispettano le indicazioni, alla fine di ogni anno bisogna che le amministrazioni municipali dispongano delle varianti urbanistiche per assicurare che siano rispettate le quantità minime di spazi riservati al verde pubblico. In buona sostanza ogni comune dovrà individuare un’area nel proprio territorio da destinare a una nuova piccola forestazione urbana con posa di piante autoctone.
Il controllo del rispetto della legge e quindi dei relativi adempimenti spetta al Comitato per lo sviluppo del verde pubblico, istituito presso il ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio. In base a queste disposizioni ogni comune dovrà inviare al Comitato le informazioni relative al tipo di albero e al luogo della sua messa a dimora nell’ambito di un censimento annuale del nuovo verde urbano.
Ma quanti sono i comuni che rispettano quest’obbligo? Non esiste un dato, neppure approssimativo. Ma tutto lascia ritenere che siano poche, pochissime, le municipalità che hanno provveduto e provvedono in questo modo ad una sempre maggior tutela del verde pubblico, e al suo progressivo sviluppo. E dire che, per sollecitare l’applicazione della legge, è stata persino introdotta una “Giornata nazionale dell’albero” che si celebra ogni anno il 21 novembre con l’obiettivo di “perseguire, attraverso la valorizzazione dell’ambiente e del patrimonio arboreo e boschivo, l’attuazione del protocollo di Kyoto” e di promuovere “attività formative in tutte le scuole”.
In Parlamento sono state presentate interrogazioni, in più riprese e da più parti politiche, per conoscere dai ministeri dell’Ambiente e delle Politiche agricole che cosa intendano fare perché sia rispettata la legge del 2013; e perché non prendano iniziative perché sia piantato un albero per ogni nuovo nato. Ma c’è una terza questione sul tappeto: perché, al fine di prevenire e contenere le alluvioni e il dissesto idrogeologico, e di tutelare la salute di ogni cittadino, il governo non assume iniziative volte a investire risorse economiche per integrare l’opera di piantumazione di nuovi alberi con quella di recupero dei territori maggiormente esposti a frane? Nessuna risposta.
di Giorgio Frasca Polara 18 undefined 2016
EddyBurg
La canapa un’amica per l’ambiente. Uno stimolo per gli agricoltori, una coltivazione rivoluzionaria dalle mille possibilità».
La canapa è un’opportunità per un’agricoltura eco-sostenibile ed innovativa. È rispettosa dell’ambiente, sostiene lo sviluppo di un’attività di filiera che parte dall’agricoltura e consente di organizzare bacini di produzione locali e generare reddito in diversi ambiti. La canapa può essere coltivata anche per farne biomassa da ardere riuscendo ad ottenere più di cento quintali
Un recente video su Rai3 Fuori
Un decreto di Renzi impone di costruire 12 nuove strutture
Regioni in rivolta: “Non costruiremo altri inceneritori” Un decreto di Renzi impone di costruire 12 nuove strutture, ma i presidenti coinvolti dicono tutti no: “Non servono”
I governatori non lo sanno. Se lo sanno, fanno finta di non saperlo. In ogni caso: gli inceneritori del governo non li vogliono. Un rapido riassunto delle puntate precedenti: come scritto ieri dal Fatto, lo scorso 29 luglio le Regioni hanno ricevuto la bozza di decreto legislativo che attua una delle previsioni dello “Sblocca Italia” di Renzi (approvato a novembre 2014). Il testo stabilisce la realizzazione di 12 nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti in 10 Regioni: uno in Piemonte, Veneto, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Campania e Puglia, due in Toscana e Sicilia. Gli inceneritori sono sostanzialmente anti-economici, alternativi alla raccolta differenziata e hanno un impatto ambientale che puntualmente scatena le proteste furiose delle comunità a cui toccherebbe farsene carico. Infatti –governo Renzi a parte – non li vuole davvero nessuno.
Settis “L’Italia Spa è sempre in svendita”
«L’Italia spa esiste ancora. Il nostro patrimonio culturale rischia tuttora di essere svenduto. Le riforme non bastano, se mancano i fondi. Riempire l’arena del Colosseo non è una priorità. C’è una bella differenza tra restaurarlo e trasformarlo per ospitare spettacoli». Nell’estate dell’attesa per i nuovi super direttori dei venti grandi musei, mentre le soprintendenze – dopo la riforma della pubblica amministrazione appena approvata – vengono indebolite ulteriormente, Roma crolla e il Colosseo guadagna nuovi finanziamenti per trasformarsi in un’arena show, Salvatore Settis lancia l’allarme. «Questo Paese commette di nuovo l’errore di spostare l’attenzione sulla valorizzazione dei monumenti, rispetto alla loro tutela. Ma non ci può essere valorizzazione senza tutela», dice l’archeologo e storico dell’arte che nel 2009 si dimise dalla presidenza del Consiglio superiore dei beni culturali in contrasto con l’allora ministro Bondi.Professore, partiamo dalla riforma Franceschini. Qualcosa si sta muovendo.
«Da Veltroni in qua ci sono stati dieci ministri e cinque riforme: un’overdose per il ministero dei Beni culturali. Di tutte, quella di Franceschini, che nasce da una commissione di studio voluta dal predecessore Bray, ha un’idea di base più chiara. Ma non vuol dire che vada tutto bene. Non sono tra quelli che dicono che sia meglio che nulla cambi. Il punto più preoccupante è che, se questa riforma ha al centro i musei – in particolare i venti scelti come più importanti – dall’altro lato impoverisce di personale le soprintendenze territoriali. Quelle di Roma, Firenze e Napoli hanno nove storici dell’arte in tutto: come faranno a tutelare l’immenso patrimonio a loro affidato? Il vero punto per capire se questo governo rispetterà l’articolo 9 della Costituzione è se verranno fatte nelle Soprintendenze territoriali le massicce assunzioni di cui c’è assolutamente bisogno. Di questo si parla troppo poco».Con la nuova legge sulla pubblica amministrazione le soprintendenze, di fatto, si indeboliscono e vengono sottomesse alle prefetture. Vale il silenzio-assenso dopo 90 giorni anche in materia di tutela ambientale, paesaggistica e dei beni culturali. Lei è tra i sostenitori di un appello contro il provvedimento.
«L’estensione del silenzio-assenso nell’ambito della tutela del paesaggio è anticostituzionale. Ci sono cinque sentenze della Corte Costituzionale che parlano chiaro. Ma la sottomissione delle soprintendenze alle prefetture non può venire da Franceschini, perché sarebbe un’idea suicida per il suo Ministero. Oggi sembra quasi che si voglia distinguere una bad company (le soprintendenze e la cura del territorio, contro cui si schierava il premier Renzi quando era sindaco di Firenze) – e una good company che sono i musei, intesi come “valorizzazione”. E le bad companies sono fatte per essere liquidate».
I musei, appunto. In venti sono stati scelti dal ministro Franceschini come i più importanti, affidandoli ad altrettanti super direttori scelti attraverso un concorso internazionale. Cosa pensa di questo?«Il fatto di dotare i grandi musei di un’autonomia maggiore di per sé mi sembra un’idea interessante e positiva. Anche se nella lista mancano, per ragioni di spending review, musei importanti come il Museo Nazionale Romano o la Pinacoteca di Siena. Va dato atto al ministro che la commissione che sta scegliendo i direttori, presieduta da Paolo Baratta, è molto buona: ci sono nomi come Nicholas Penny della National Gallery di Londra e il grande archeologo Luca Giuliani. Però non è mai accaduto nella storia che venti direttori di musei diversi siano nominati con un’unica procedura. All’estero appare inconcepibile. Vedremo i risultati, ma la fretta è cattiva consigliera».
Ma di cosa avrebbe bisogno oggi il Ministero dei Beni culturali?
«Si continua a ignorare che le riforme a costo zero producono molto meno di zero. Nel 2008, Berlusconi e Bondi tagliarono in modo massiccio i finanziamenti alla cultura di un miliardo e 300 milioni euro. Se quella ferita non sarà sanata (e nessun governo lo ha fatto, nemmeno questo) e non si provvederà a nuove assunzioni, ogni riforma resterà vana. La primissima esigenza sono nuove assunzioni e nuovi fondi».
Però sono appena stati stanziati 80 milioni per alcune Grandi Opere…
«Finanziare un progetto che trasformi il Colosseo in un set per spettacoli è un vero spreco. Si trasmette ancora una volta il messaggio che i monumenti non servono a nulla, se non assumono un aspetto spettacolare. E si concentra di nuovo l’attenzione solo su alcuni luoghi simbolo, mentre altri, proprio a Roma, in questo momento, cadono a pezzi. La tradizione italiana della tutela, la più antica al mondo, attraversa una crisi gravissima».A Pompei, però, i segnali sono diversi.
«Nell’ultimo anno e mezzo, con il direttore generale Giovanni Nistri e il soprintendente Massimo Osanna, la capacità di spesa è aumentata. I segnali di funzionamento sono positivi. Lo sciopero del 24 luglio è stato un brutto episodio, ma non il segno che va tutto a rotoli».
A tredici anni dal suo saggio, possiamo ancora parlare di “Italia spa”?
«Il progetto dell’allora ministro Tremonti di svendere il patrimonio demaniale è fallito. Ma non si può cantare vittoria, dato che si continua a svendere i beni pubblici, delegando l’iniziativa a Regioni e Comuni in modo che non si colga il disegno d’insieme. Inoltre, le regole per la tutela del paesaggio si allentano continuamente, e sarà ancor peggio quando i soprintendenti, esautorati, ubbidiranno ai prefetti. Ma il Paese resta ricco di anticorpi nella società e nelle istituzioni. Possiamo trovare ancora dei contravveleni al degrado che incombe”.