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Il settore dei rifiuti rappresenta, con i suoi problemi, un esempio emblematico della insostenibilità del nostro modello di produzione e consumo.

Questo modello ha alla base una dilagante alienazione, nel senso proprio dell’allontanare o dell’estraniare da sé e, quindi, all’atto di prendere distanza da qualcuno o da qualcosa, funzionale al consumo e all’uso e getta.

Questo fenomeno ha prodotto una artificiale separazione dalle cose che ci circondano e dal loro destino una volta che queste divengono, ai nostri occhi, prive di valore.

Accanto a questo si è sviluppata una coerente ignoranza su come mantenere, riparare, riusare e infine gestire il fine vita di cose che fino a ieri ci accompagnavano. Con inevitabile dispersione di risorse materiali e immateriali.

Non è un processo che riguarda solo le singole persone ma investe tutta la struttura sociale e la sua rappresentanza. I Comuni hanno troppo spesso rinunciato al loro compito, che ancora oggi hanno, di gestire i rifiuti, delegando prima le loro aziende, una volta chiamate municipalizzate, per poi arrivcare all’affidamento del servizio al mercato senza effettuare o avere la capacità di indirizzare e di controllare un processo tanto delicato. In termini sintetici si è assistito ad una cessione di potere, quello di gestire i rifiuti, a soggetti esterni che oggi, di fatto, fanno la politica sui rifiuti senza che per questo siano stati eletti. Troppo spesso si è assistito allo stesso fenomeno a livelli superiori, Provincie, ATO e probabilmente intere Regioni. Un elemento che ha accompagnato e facilitato questo esproprio di potere è stato il crescente gigantismo delle aziende rifiuti e delle “grandi opere”, i mega impianti che vengono proposti e giustamente avversati dalle popolazioni che li vedono come estranei, pericolosi ed essenzialmente portatori di esternalità altrui.

Un’idea malsana di industrializzazione e di economia di scala, la stessa che ha portato probabilmente alla costituzione degli ATO (Ambiti Territoriali Ottimali), che non viene confortata dai numeri. Basti considerare che, da rapporto ISPRA (dati 2014), i comuni con meno di 5000 abitanti hanno una raccolta differenziata media del 60% e un costo per abitante di 130 euro/anno mentre quelli con oltre 150.000 abitanti hanno una raccolta differenziata al 37% e un costo procapite di 229 euro/anno. Un dato controintuitivo, per i fautori dell’effetto scala, che ci dovrebbe far riflettere sulla capacità dei piccoli comuni di sfruttare a pieno questa loro peculiarità, la conoscenza del territorio, le possibili caratteristiche su cui fare leva e costruire un sistema di gestione virtuoso. Una capacità che potrebbe essere mutuata per le nostre città viste come insieme di quartieri, borgate, paesi, frazioni. Non semplice somma ma sistema integrato e mutualistico.

Da alcuni anni assistiamo però ad una inversione di tendenza, almeno in altri settori, con un nuovo protagonismo, ad una nuova sensibilità, sia dei singoli cittadini sia delle amministrazioni. Sono esempi la diffusione dell’autoproduzione energetica, i fitodepuratori, l’adozione di cisterne, la riscoperta della autoproduzione alimentare e il chilometro zero. Quest’approccio può essere utilmente mutuato al settore rifiuti con una nuova prassi basata sul principio di sussidiarietà e sulla conseguente costruzione di capacità locali. Per sussidiarietà intendiamo qui quel principio regolatore per cui se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non interviene, ma può eventualmente sostenerne l’azione. Al grande impianto viene contrapposta l’idea della capacità distribuita, della gestione locale e della rete. Si noti che questo concetto diminuisce la vulnerabilità del sistema e ne aumenta l’accettabilità e la consapevolezza sociale (molti piccoli impianti vicini invece che uno grande e spesso distante).

Nel settore rifiuti la frazione organica è la frazione merceologica maggioritaria sia in termini di peso sia, ancor di più, in termini di costi di gestione.

La frazione organica è quella su cui puntare maggiormente per il raggiungimento degli obiettivi sia di prevenzione e riduzione sia di percentuali per la raccolta differenziata dei rifiuti.

La forma principe di riciclo per la frazione organica prevede il ritorno alla terra del materiale organico attraverso la produzione di compost. Si tratta di un uso efficiente delle risorse biotiche che si innesta sul percorso intrapreso in Italia del naturale e del biologico nella florovivaistica e in agricoltura dove temi quali quelli della desertificazione e della perdita di carbonio organico del suolo stanno divenendo argomenti di allarme.

L’uso efficiente delle risorse è una delle sette iniziative “faro” della strategia europea 2020 che mira ad una evoluzione intelligente, sostenibile ed inclusiva.

Tra queste risorse la componente biotica rappresenta un importante elemento.

Gli impianti industriali di compostaggio sono spesso lontani e assistiamo a lunghi e costosi viaggi di acqua, di cui la frazione organica è principalmente composta, anche fuori la regione di produzione del rifiuto.

La legge 221/2015 (collegato ambientale) offre nuove opportunità, con i suoi articoli 37 e 38, all’affermazione di pratiche quali l’autocompostaggio (domestico e non domestico), il compostaggio locale e di comunità. Queste tecniche aiutano a declinare il “piccolo è bello” e il chilometro zero al settore rifiuti. Si tratta di piccoli o piccolissimi impianti destinati alle singole utenze domestiche e non, ai condomini, alle frazioni e ai quartieri. Impianti che richiedono spesso il conferimento diretto degli utenti, una nuova cura nella gestione, il coinvolgimento del volontariato e nuova occupazione. Si abbinano bene alle cure dei giardini, agli orti urbani e alle sensibilità prima rapidamente delineate. Un’attività che richiede un impegno più vicino a quello agricolo e artigianale che a quello industriale. Pratiche che spesso, qualora non vi sia cessione del rifiuto al sistema pubblico di gestione, possono essere riguardate come azioni di prevenzione. Le tecnologie informatiche possono utilmente contribuire al monitoraggio remoto, alla gestione, alla trasparenza delle attività, alla diffusione dei risultati e delle conoscenze.

Ma questo approccio incontra molte resistenze, dovute essenzialmente all’inerzia del sistema di gestione rifiuti, ad una vecchia mentalità che deve essere superata.

Su questo la Pubblica Amministrazione, Comuni, Provincie e Regioni, possono e devono dare un forte contributo riappropriandosi del ruolo che gli spetta.

Un’affermazione di questa soluzione, passa attraverso politiche di importanti sgravi tariffari, dall’affermazione dell’Albo Compostatori Comunale, di revisione dei regolamenti, da politiche di acquisti verdi (GPP) del compost prodotto da parte della pubblica amministrazione e non ultima da una opera di certificazione di processo e di prodotto.

Per questo motivo è importante una mobilitazione della società civile e dell’associazionismo per intraprendere insieme un cammino nuovo e condiviso.

Per adesioni scrivere a: fabiomusmeci1955@gmail.com

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Di Fabio